“Return trip effect”: perché il ritorno è sempre più breve

È successo a tutti almeno una volta nella vita: la strada che ci riporta a casa dopo un bel viaggio sembra sempre volare. È il “return trip effect”, l’”effetto del viaggio di ritorno”. La ragione per questa particolare sensazione è oggetto di alcuni studi recenti, ed esistono alcune teorie in merito, tutte legate in modo particolare al modo in cui il nostro cervello percepisce e gestisce le informazioni sul nostro viaggio.

Le ultime ricerche

Una prima spiegazione è stata fornita da poco sulla rivista “PLOS One”. È stato chiesto a un gruppo sperimentale di guardare un video di un percorso circolare, ed di stimarne la lunghezza sia in tempo reale (cioè durante l’intera visione del video), che retrospettivamente. L’esito del test è stato che la stima in tempo reale risultava ragionevolmente vicina alla distanza esatta; mentre le stime della seconda parte del test giudicavano il viaggio molto più corto di quanto fosse in realtà. In poche parole, il “return trip effect” sarebbe prodotto da un ricordo inesatto della lunghezza del viaggio. Queste conclusioni sono state però contestate dall’imprecisione dei dati e dalle dimensioni ridotte del gruppo sperimentale. Inoltre, questo test non spiega il perché la mente produce questo errore di valutazione relativo alla lunghezza del viaggio.

Alcuni studi precedenti

viaggio di ritorno

Nel 2011, Niels Van de Ven, professore presso l’Università di Tillburg, ha eseguito alcuni test più approfonditi sul fenomeno del “return trip effect”. Lavorando su due teorie, quella della familiarità e quella della aspettativa. Le persone intervistate dal team del prof. Van de Ven hanno riportato che non è tanto la conoscenza dell’itinerario, come nel caso dei pendolari, a creare la sensazione di minore durata del viaggio di ritorno quanto l’aspettativa di un viaggio più breve di quello dell’andata. Infatti, l’effetto si verifica in viaggi di ogni genere: bus, auto, bici, persino se guardiamo il video di qualcun altro che sta viaggiando, ma si attenua durante i viaggi frequenti e ripetuti delle persone chiamate a percorrere sempre la stessa tratta ogni giorno per lavoro.

Una “violazione delle aspettative”

viaggio di ritorno

L’esperienza del “return trip effect” sembra insomma provenire da un particolare scherzo della mente: i partecipanti agli esperimenti del prof. Van de Ven hanno avuto la sensazione che il viaggio di andata avesse una lunghezza maggiore delle aspettative; pertanto, la loro mente ha “ricalibrato” l’aspettativa rispetto al viaggio di ritorno, producendo così quella sensazione di averci messo di meno a tornare a casa, il “return trip effect”. In conclusione, la squadra dell’Università di Tilburg non esclude che prendere confidenza e familiarità con un itinerario giochi un ruolo cruciale in questa dinamica: la nostra mente può ricordare che il viaggio di andata sia stato meno piacevole che quello di ritorno, perché non si conosceva la strada. Tuttavia, il meccanismo fondamentale dell’”effetto del viaggio di ritorno” sembra proprio consistere in una modificazione delle nostre aspettative per il viaggio. A controprova di ciò, ancora una volta, il caso dei pendolari è illuminante: la ripetitività del tragitto che percorrono tutti i giorni permette loro di avere una conoscenza più esatta delle tempistiche e produce aspettative più veritiere dalla distanza da percorrere.

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E voi avete mai provato la sensazione del “return trip effect” durante un viaggio di ritorno verso casa? Quali sono le vostre impressioni sulle scoperte del prof. van de Ven? Vi aspettiamo sulle nostre pagine Facebook, Twitter o Google+, per conoscere il vostro punto di vista!

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